Hernia Program in Santiago

L’ alba qui non e’ prima delle 6, e i colori netti della fitta vegetazione tropicale che avvolge il centro chirurgico dove siamo, incominciano a stagliarsi contro il cielo che da nero diventa prima rosa e poi azzurro. I versi degli animali accompagnano l’arrivo delle camionetas, furgoni stipati di umanita’ in cerca di aiuto.

Stanca, rassegnata e variopinta nel loro uniforme colorito, questa scena mal si adatta alla meraviglia del giorno che nasce violento.

Tra questa gente, intrisa di sudore e speranza , c’è una famiglia intera, con il nonno, due genitori e due figli, un bambino e una piccolina.

Chissa’ per quale strana ragione, mi avvicino subito a loro, gia’ vestito per andare in sala operatoria, e, cominciamo a parlare.

Forse l’aspetto dimesso, forse lo sguardo dei bimbi, perso tra la paura e lo stupore per la struttura pseudo ospedaliera, forse la compattezza di questa famiglia, mi spinge a chiedere di loro, della loro storia.

Il nonno, di oltre 70 anni, ogni mattina era in piedi alle 4 per iniziare il lavoro nei campi, per raccogliere quacosa che avrebbe poi venduto al mercato.

Il nonno e’ il pilastro di questa famiglia dal giorno in cui suo figlio, il padre, si e’ ammalato di una situazione tale da non poter piu’ andare al campo

E quindi, per poter cercare una via migliore ai suoi nipoti, per dar loro una speranza di uscita dalla baracca di legno lamiera e fango, la loro casa, il nonno, malgrado l’eta’ ha ricominciato la sua povera esistenza lavorativa.

Il figlio, necessitava di un complesso intervento di ricostruzione addominale per un’eventrazione. Gigantesca e difficile, ma non aveva le risorse necessarie, naturalmente, per essere curato.

Quando il vecchio nonno ha saputo dell’arrivo della nostra equipe, e’riuscito a convicere, il figlio a venire da noi, imbarcando tutta la famiglia sul furgone della speranza, in un viaggio notturno di diverse ore per arrivare al mattino presto da noi.

Mentre sentivo la storia, avvertivo dentro di me quel sentimento misto di pietas, rabbia e ingiustizia, tipico di quando viviamo situazioni estranee al nostro mondo.

Alla fine, il nonno, mi prende le mani, e con le lacrime che iniziavano a comparire in quegli occhi stanchi e appannati mi dice “signore, lo affido alle sue mani e a quelle di Dio. Lo guarisca, lo prepari al lavoro…io sono stanco e vecchio e voglio sapere che la mia famiglia puo’continuare a vivere quando io saro’ morto, spero in pace“.

L’ intervento e’ durato 4 ore, dure e difficili nelle condizioni precarie di queste realtà, ma alla fine i suoi muscoli, la sua parete, era perfetta.

Dopo soli due giorni, non ci sono tanti letti qui a disposizione, ho mandato a casa la famiglia, il malato in via di guarigione ma gia’ a posto fisicamente. Il nonno serio, guardondomi negli occhi mi dice solo “grazie, ora posso morire in pace, perche’ tu hai ridato la forza a mio figlio” e sono andati, e mentre andavano via, la bambina si volta, mi corre incontro e mi dà un tenero bacio, che e’ il piu’ bello del mondo.

Giampiero Campanelli